ROMA Scatto finale in commissione Finanze al Senato sull’emendamento per incentivare la rete unica a banda ultralarga tra Tim ed Open Fiber. L’esame del decreto fiscale che contiene la norma è andato avanti fino a tarda sera. A meno di sorprese in extremis, dovrebbe reggere l’intesa a favore della versione corretta giovedì scorso dopo un triplice passaggio: emendamento del relatore M5S al decreto fiscale, Emiliano Fenu, subemendamento della Lega e riformulazione di quest’ultimo dopo un confronto con gli esperti del governo che stanno seguendo il dossier. Resta l’obiettivo di fondo di favorire la creazione di una rete unica prevedendo che l’Autorità per le comunicazioni (Agcom) determini «adeguati meccanismi incentivanti di remunerazione del capitale investito», verosimilmente il sistema Rab (regulatory asset base). E resta, tra gli elementi di cui l’Agcom dovrà tenere conto per determinare la remunerazione, oltre al «costo storico» degli investimenti effettuati, anche la «forza lavoro». Un passaggio delicato perché secondo alcune interpretazioni, anche all’interno della stessa Lega che avrebbe voluto cancellarlo, può comportare il rischio di scaricare il costo sociale dell’operazione sulle tariffe di accesso all’infrastruttura e, a cascata, sui prezzi finali. Nella versione finale, comunque, non si parla più di «forza lavoro dell’impresa separata» ma di «forza lavoro dei soggetti giuridici coinvolti». Una formula che lascerebbe aperto sia il coinvolgimento di più soggetti nell’operazione rete unica sia l’ipotesi di uno “scorporo” in senso contrario: la società dei Servizi che si stacca da Telecom e non la rete. Sicuramente, nella formulazione finale cadono alcuni “paletti” che la Lega avrebbe voluto porre. Un’eventuale deregolamentazione a vantaggio della nuova società della rete, infatti, scatterebbe anche ad operazione in corso e non «solo successivamente all’avvenuta conclusione del processo di aggregazione». E non ci sarebbe bisogno della verifica da parte della stessa Agcom e dell’Antitrust. Inoltre, viene eliminato il riferimento a velocità di connessioni «stabili e aumentabili fino a 1 Gbps» (gigabit per secondo). Si parla invece semplicemente di infrastrutture «con le migliori tecnologie disponibili, comunque in grado di fornire connessioni stabili». Per il resto l’impianto della norma è sostanzialmente confermato. Il soggetto che nascerà dall’eventuale aggregazione dovrà essere «non verticalmente integrato», quindi attivo solo all’ingrosso, e appartenente a una proprietà diversa o sotto controlli di terzi indipendenti. Modificando il Codice delle comunicazioni elettroniche, si prospettano due possibili vie. L’Agcom, nell’imporre in via estrema la separazione funzionale della rete (potere che tra l’altro già oggi ha), può valutare che ci sia una mancanza di effettiva concorrenza «anche in relazione al livello di autonomia dei concorrenti rispetto all’infrastruttura dell’impresa verticalmente integrata con significativo potere di mercato». E può «indicare uno schema di eventuale aggregazione volontaria dei beni relativi alle reti di accesso» di diversi operatori. C’è poi l’opzione in base alla quale siano le società interessate - in questo caso Tim e Open Fiber - a proporre spontaneamente l’aggregazione. © RIPRODUZIONE RISERVATA Carmine Fotina
Gianmichele Uda